Trapianto di fegato

I ricercatori cominciarono gli esperimenti con i trapianti d’organo sugli animali e sugli umani nel 18° secolo. Per lungo tempo gli scienziati sono incorsi in molti fallimenti, ma alla metà del 20° secolo è stato attuato un trapianto d’organo con successo. I trapianti di rene, di fegato, di cuore, di pancreas, di polmoni, e di cuore-polmoni, sono ora considerati una parte accettata del trattamento medico.

Nell’ultimo ventennio si sono resi disponibili importanti presidi medici come la tipizzazione tissutale ed i farmaci immunosoppressivi, che hanno permesso grande miglioramento della sopravvivenza per i pazienti trapiantati. Il progresso maggiore in questa materia fu la scoperta di Jean Borel di un agente immunosoppressivo chiamato ciclosporina, nella metà degli anni ’70. Questo farmaco fu approvato per l’uso commerciale nel novembre del 1983. Con esso e con il miglioramento della tecnologia medica e la maggiore disponibilità di donatori, migliaia di persone ogni anno vivono più a lungo e meglio per merito di un trapianto d’organo.

Sfortunatamente, tuttavia, la necessità di trapianti continua ad essere eccessiva rispetto alla disponibilità di organi e permane quindi importante una sempre maggior coscienza della popolazione per incrementare le donazioni. Il trapianto epatico, cioè la sostituzione del fegato originale, malato, con un fegato sano ottenuto da un donatore morto e mantenuto in vita artificialmente fino al prelievo degli organi, si è trasformato, da procedura sperimentale riservata a pazienti terminali, in un intervento relativamente più diffuso, che può salvare la vita.

A partire dagli anni ‘80 c’è stato un notevole aumento della sopravvivenza, dovuto a numerosi fattori: il miglioramento della tecnica chirurgica, del recupero e della conservazione dell’organo del donatore, della terapia immunosoppressiva, ed una migliore selezione del paziente e del momento del trapianto. Nonostante la morbidità e la mortalità perioperatoria, le difficoltà tecniche e di gestione di questa procedura ed il costo, il trapianto epatico è diventato l’approccio di scelta per pazienti adeguatamente selezionati con epatopatia cronica o acuta rapidamente progressiva non responsiva alla terapia medica, che sarebbero a prognosi infausta.

I candidati potenziali al trapianto epatico sono i bambini e gli adulti che, in assenza di controindicazioni, sono affetti da un’epatopatia grave e irreversibile per la quale sono già state tentate o non sono disponibili terapie mediche o chirurgiche alternative. Il trapianto epatico dovrebbe, idealmente, essere considerato in pazienti con epatopatia in fase terminale che hanno o hanno avuto una complicanza severa da scompenso epatico, nei soggetti per i quali la qualità di vita è peggiorata a livelli inaccettabili o negli individui in cui la malattia (in genere acuta) porterà in maniera prevedibile ad un danno irreversibile del sistema nervoso centrale. Migliori sono le condizioni generali del paziente prima del trapianto, maggiore sarà la probabilità di successo del trapianto stesso. La scelta del momento migliore per eseguire un trapianto è complicata e richiede una valutazione combinata da parte di epatologi, chirurghi trapiantologi, anestesisti, e specialisti dei servizi di supporto.

Più discussa è l’indicazione al trapianto nei pazienti con cirrosi alcolica e con cirrosi virale complicata da neoplasie epatocellulari primitive; anche se tutti questi gruppi di pazienti sono considerati ad alto rischio, il trapianto epatico va offerto a pazienti attentamente selezionati. I pazienti con cirrosi alcolica vanno considerati candidati al trapianto di fegato se sospendono completamente l’assunzione di qualsiasi tipo di alcolico e comunque devono trascorrere almeno 6 mesi d’astinenza. I risultati del trapianto in pazienti con epatite C sono tanto favorevoli quanto quelli di altri gruppi di pazienti, nonostante che la reinfezione del fegato trapiantato avvenga quasi di regola. I pazienti con neoplasie epatiche primitive non metastatiche, possono essere sottoposti a trapianto epatico; tuttavia la sopravvivenza complessiva per neoplasie epatobiliari è più bassa di quella di altri tipi di epatopatia e l’indicazione resta quindi molto discutibile e soggetta a particolari criteri di ogni singolo Centro.

Le controindicazioni assolute al trapianto sono date da gravi malattie sistemiche, infezioni batteriche o fungine extraepatiche incontrollate, gravi cardiopatie o pneumopatie, anomalie congenite multiple non correggibili e pericolose per la vita, neoplasie metastatiche, tossicodipendenza attiva o alcolismo, e infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV). L’età avanzata può essere considerata una controindicazione relativa, ma benché siano stati eseguiti trapianti in pazienti di addirittura 70 anni, nei pazienti anziani dovrebbe essere eseguita una valutazione pre-intervento molto accurata al fine di escludere una cardiopatia ischemica e in genere non vengono considerati pazienti oltre i 60 anni. Vi sono poi una serie di varie controindicazioni relative.

Dopo il trapianto è necessario trascorrere un periodo in terapia intensiva per monitorare tutte le funzioni vitali, sia per verificare il buon esito dell’intervento chirurgico, sia per controllare la risposta e gli effetti collaterali dei farmaci immunosoppressori, necessari per mantenere la compatibilità tra organo donato ed organismo ricevente. Il decorso post-operatorio del trapianto è nettamente migliorato dopo l’avvento dei farmaci immunosoppressori, in particolare la ciclosporina. Dati gli effetti collaterali di questi farmaci, effetti che in molti casi sono dose-dipendente, la combinazione di ciclosporina, prednisone e azatioprina, tutti a dosi ridotte, rappresenta il regime terapeutico di scelta. In casi particolari si possono utilizzare anticorpi monoclonali diretti contro i linfociti T (OKT3) o l’FK506, un antibiotico con effetti simili a quelli della ciclosporina, ma più potenti. Il principio importante dell’immunosoppressione è nello stabilire un equilibrio tra immunosoppressione e immunocompetenza, il rigetto acuto di fegato è infatti un evento quasi sempre reversibile somministrando una dose sufficiente di farmaci immunosoppressivi, Tuttavia se la dose cumulativa di questi farmaci è eccessiva il paziente sarà a grande rischio di gravi infezioni opportunistiche.

Le complicanze che possono insorgere dopo il trapianto possono essere precoci o tardive e possono derivare dalla tecnica chirurgica, dall’inadeguatezza dell’organo trapiantato, dall’inefficacia della terapia immunosoppressiva, o dalla recidiva della malattia di base. Alcune di queste complicanze sono trattate efficacemente con l’aggiustamento della terapia medica, altre richiedono la correzione chirurgica, altre ancora necessitano del ritrapianto, talvolta in tempi brevissimi.

Nella maggior parte dei pazienti che sopravvivono ai primi mesi dopo il trapianto e sfuggono al rigetto cronico o ad infezioni non controllabili si ottiene una riabilitazione completa. Problemi psicosociali interferiscono con l’accettazione della terapia medica solo in pochi pazienti e la maggior parte di questi si adatta alla terapia immunosoppressiva che deve essere continuata per tutta la vita. Secondo uno studio, l’85% dei pazienti sopravvissuti al trapianto è tornato a svolgere attività lavorative remunerate. Inoltre alcune donne hanno concepito e condotto a termine la gravidanza dopo trapianto epatico, senza conseguenze per i loro bambini.